Ciao,
ecco un racconto che trovate nel libro
Cuor di Corteccia,
piccoli racconti in cui a parlare sono gli alberi. Lo trovate su
www.youcanprint.it, negozi
online di libri, scrivendomi a larazavatteri@gmail.com
o mi trovate a Mezzana, val di Sole, Trentino, in via 4 novembre 21.
Il
vecchio abete e la guerra
Fui
l’ultimo della mia famiglia ad essere colpito. Ricordo come fosse
ora il colpo tremendo che mi sconquassò il tronco, arrivando fino al
cuore. Era un giorno di battaglia come tanti, durante la prima guerra
mondiale. Non so dire, oggi, che giorno fosse, ma ricordo bene che la
giornata era tiepida, il sole scaldava i miei rami e un lieve vento
faceva ondeggiare le fronde. Pensai che era un giorno bello, un
giorno pacifico, forse uno di quei giorni in cui si crede che nulla
di male potrà mai capitare.
Fu
proprio per questi miei pensieri, credo, che ciò che accadde dopo
giunse del tutto inatteso e, in un certo senso, fece ancor più male.
La mia famiglia era composta di alberi molto antichi, noi fratelli e
sorelle, che eravamo i più giovani, avevamo tutti più o meno un
centinaio d’anni.
Tutti
gli altri parenti avevano, come direste voi uomini, sulle spalle,
due, tre e alcuni anche quattrocento anni. Ne avevano viste di cose,
quante ne avevano vissute.
Quella
pioggia di piombo ci investì tutti, ma io fui l’ultimo ad essere
raggiunto. Ero nato e cresciuto nella stessa radura degli altri, ma
un po’ più discosto, più riparato e per questo fui centrato alla
fine. Ebbi il tempo di vedere e sentire i lamenti di tutti i miei
cari, trafitti a morte o feriti dalle schegge e dalle bombe che i
soldati dei due schieramenti avversari gettavano da una parte
all’altra del fronte, sul confine dove stavamo noi.
Quante
schegge mi attraversarono, ancora oggi non lo so, ma so che prima di
perdere conoscenza, sicuro di morire, vidi tra le mie radici una
bomba che non era esplosa. Feci appena in tempo a sollevare una
radice e spingere più sotto l’ordigno, prima di non vedere più
nulla. Lo feci perché avevo paura di quello che effettivamente
accadde anni dopo, quando la guerra era finita ma molto restava sul
terreno e dentro di noi, negli alberi, di quelle armi mortali.
Mi
riebbi, invece, qualche giorno dopo. Mi mancavano molti rami, ma ero
ancora vivo. Così purtroppo non è stato per tanti della mia
famiglia, decapitati, incendiati e rasi al suolo da bombe, granate e
schegge. Provavo un dolore terribile per chi avevo perso e sentivo
appena quello, ugualmente orrendo, delle schegge che nascondevo
dentro di me.
Passarono
gli anni, altri alberi crebbero nella radura e d’un tratto alcuni
uomini giunsero proprio davanti a me. Erano stati a tagliare altri
fratelli, tagliarli per avere legna da ardere e si sedettero a
riposare tra le mie radici. Il tempo era trascorso e aveva ben
nascosto la bomba inesplosa, fu per questo che, quando decisero di
tagliare anche me, con i primi colpi al mio tronco, insieme alle
schegge, con le scosse provocate dalla scure la bomba fece il suo
botto. Morirono in un istante, ancora con la scure in mano. Per tanti
anni avevo tentato di celare l’ordigno, in modo che nessuno potesse
farsi del male, in modo che l’arma non potesse nuocere, ed alla
fine non era servito a nulla.
Rimasi
cosciente ancora un poco, ma alla fine dovetti arrendermi. La bomba
aveva frantumato tronco, rami, tutto. Mi spensi insieme a quegli
uomini, per colpa di un residuo della guerra che c’era stata che
aveva dormito tra le mie radici per anni, prima di decidersi a
brillare nel sole.